domenica 8 novembre 2009

Uì spic inglisc', ièsse, ovvero Di insegne che insegnano


Anche se si è in giro (anzi, stavolta è meglio dire in piazza) per tutt'altri motivi, noialtri gatti abbiamo sempre gli occhi attenti. In particolare, la sottoscritta nutre una smodata passione (condivisa dall'amico Sussi, quello lungo) per le insegne dei negozi scritte in lingue straniere, particolarmente in inglese.

Essendo questa una cosiddetta città d'arte visitata da milioni e milioni di turisti, che nel centro storico vi siano decine e decine di insegne redatte nella uòrd lènguegg' per attirare lo spennando forestiero può essere anche ben compreso; anche se, personalmente, comprendo un po' meno i due pesi e le due misure. Mi spiegherò meglio. Nella vicina città di Prato, recentemente, un'ordinanza comunale della giunta di centrodestra ha rigorosamente vietato ai commercianti cinesi di apporre ai propri esercizi insegne in lingua cinese, che non sarà la lingua del mondo ma è comunque, per numero di parlanti, la prima in tutto il pianeta. Così facendo, la giunta pratese dà finalmente il suo fattivo contributo alla restaurazione dell'italianità (salutata con grida di giubilo dalla Nazione, come dubitarne!) e, soprattutto, alla soluzione della tremenda crisi che attanaglia Prato. Tremenda crisi che, va detto, con lo storico cambio di giunta sembra come per magia oramai acqua passata; somiglia molto alla spazzatura napoletana. Niente più manifestazioni con tricolori chilometrici, niente più chiusure, niente più niente. Basta mettere a posto quei maledetti cinesi, e la crisi, -puff!- passa all'istante. A partire dalle insegne nella lingua nazionale che deve avere la prevalenza.


In questa città, invece, guai a togliere le insegne in inglese. Sarebbe impensabile. Il turismo, ancorché disordinato, ancorché vera causa di degrado, ancorché fattore decisivio nella distruzione dello storico tessuto commerciale del centro, non può essere toccato. E non si invochino differenze di sorta: anche qui, se le scritte nel centro fossero in cinese, in wolof o in urdu, qualche assessore di sinistra avrebbe già bell'e emesso l'ordinanziella di divieto. Ma siccome sono in inglisc', va tutto bene. Ben vengano anche quelle in giapponese, in tedesco o persino in latino, che fa tanto figo e poi ci ricorda le nostre radici cristiane; ma guai se fossero in rumeno o in arabo. Quelle sono le lingue degli invasori, di coloro che attentano alla nostra civiltà; e poco importa se, in questa città, la vera invasione è condotta a ritmi disneylandiani da orde di comitive, di pizzattaglio, di paccottiglia legalizzata.

Ma so bene, da gatta per natura saggia, che queste mie considerazioni sono una battaglia persa in partenza. E allora non mi resta che divertirmi un po'. Insomma, se proprio queste insegne in inglese ci devono essere senza che nessuno affermi patriotticamente che l'italiano deve avere la prevalenza, almeno che siano corrette. E, invece, guardate un po' la foto che apre questo post. Sembra quasi di sentire il colloquio che l'ha originata:

- O Piera, o come si 'hiama i' negozzietto ora...? Ci vorrebbe una scritta in ingrese, 'iobòno...così arrivano gli amerihani...e poi l'ingrese 'e lo 'hapiscano tutti...

- Oh, 'scorta...visto 'he si fa la roba fattammàno in Toscana (in quanto prodotta a Prato dai cinesi, NDR), sai icchéne...'e si 'hiama "roba fattammàno" in ingrese!...

- Ecco, obbràvo! 'E lo so io 'home si dice...HANDE MADE GIFTS, perché "hande" 'e vogliano dì' le mane!....

E insomma, eccola qua. In barba alla lingua nazionale che pure in questa città è nata. Certo, bisognerebbe tenere conto che, nell'inglese di qualche secolo fa, quella -e finale era la norma; ancora adesso, nelle campagne inglesi, si vedono antiche locande sormontate da un'insegna tipo Ye Olde Inn:


Dovete sapere, come assai didascalicamente mi racconta il Sussi, che quella "-e" finale di olde sarebbe un antico retaggio della declinazione debole degli aggettivi, che era la regola nelle fasi più antiche dell'inglese; così, ad esempio, ancora adesso nello stile solenne si può dire since olden times ("da tempi antichi"; quella -en è addirittura un vestigio del dativo plurale). Ma, come dire, sia io che il mio amico dubitiamo fortemente e ragionevolmente che gli autori dell'insegna hande made siano a conoscenza di queste cose, e che si tratti assai più probabilmente di uno dei comunissimi strafalcioni che si leggono un po' ovunque in questa città così internèscional.

E così, anche se in piazza per tutt'altri motivi, è bene dare un'occhiatina anche alle insegne. Anch'esse possono insegnare un sacco di cose. E raccontarle. Raccontare, per esempio, di come l'artigianato di questa città, quello autentico, quello per cui era celebre in tutto il mondo, sia stato sradicato a partire dall'alluvione del 1966 per essere alfine sostituito, nel 2009, dai negozietti di chincaglierie hande made ad usum Britannorum turistarum atque Americanorum. E quegli artigiani non avevano bisogno di nessuna insegna, né in ingrese e nemmeno in toscano. Lavoravano davanti a tutti, e bastava mettersi a vederli.